Un’emigrata straniera: Tatiana
Tatiana è in Italia da nove anni, è emigrata dall'Ucraina per trovare aspettative di lavoro migliori poiché nel paese in cui abitava i salari erano bassi e la vita era molto sfavorevole. È partita insieme ad una amica, lasciando nel paese di origine le due figlie e la nonna. Nel 2007, una figlia è riuscita a raggiungerla in Italia e adesso studia qua.
Ha fatto fatica a trovare lavoro, perché il suo titolo di studio da commercialista non è riconosciuto in Italia, ma è riuscita a trovare lavoro in una ditta di pulizie. All'inizio, ha avuto difficoltà ad imparare la nostra lingua e a inserirsi, ora parla discretamente l'italiano. Per ottenere il permesso di soggiorno ha dovuto faticare come tutti gli emigrati. Appena arrivata a Modena, condivideva un appartamento con delle donne arrivate dall'Est, ma ora, dopo tanti sacrifici, è riuscita ad ottenere un mutuo per comperarsi una casa tutta sua.
Non si è dimenticata del suo Paese, delle tradizioni e dei suoi familiari; appena può invia soldi o pacchi con generi alimentari alla famiglia, ogni tanto ha nostalgia di casa, ma per il momento il suo futuro è qui. Ora risente del clima che si è venuto a creare nei confronti degli stranieri, anche a causa della crisi mondiale, comunque spera di poter dare un futuro migliore alle sue figlie.
Lo Yu Chun (Anita)
Abitava ad Hong Kong. La sua famiglia era composta da cinque persone: Anita, i suoi genitori e due fratelli maschi, più grandi di lei.
Anita è emigrata qui da tre anni, perché ha trovato l’amore in Italia e quando venne il momento di decidere di vivere insieme e quindi se fosse lui a dover andare in Cina o lei a partire per l’Italia, fu deciso per questa seconda ipotesi, perché lui in Cina avrebbe avuto maggiori difficoltà a trovare lavoro, mentre lei, conoscendo bene l’inglese, era più avvantaggiata. Il viaggio in aereo per raggiungere l’Itala durò ddici ore, ma non fu un viaggio molto duro.
La prima difficoltà che incontrò fu senza dubbio la lingua, poi anche trovare un lavoro, ma anche le abitudini differenti che non semplificavano certo la convivenza. Appena arrivata, si sentiva spaesata e molto impaurita dalle nuove abitudini e dalle diverse regole, non aveva conoscenti e si sentiva imbarazzata quando qualcuno le rivolgeva la parola, in un certo senso si sentiva anche un po’ stupida, perché spesso, per farsi capire, doveva ripetere le cose più di una volta, cercando di trovare gesti o espressioni che aiutassero gli altri a comprendere ciò che stava dicendo.
Il suo primo lavoro, quando è emigrata in Italia, è stato quello di traduttrice di manuali o depliant e anche di insegnante di inglese. Lavorava quattro ore la settimana.
I suoi familiari l’hanno raggiunta solo per darle una mano con le sue bambine appena nate.
Ha cominciato a sentirsi integrata quando le figlie hanno iniziato frequentare la scuola materna perché aveva contatti più diretti con le famiglie degli altri bambini.
Anita tuttora frequenta un centro interculturale in cui condivide molte esperienze con tante persone di nazionalità diversa; lì trova sentimenti comuni e ritrova alcune abitudini delle origini ormai sbiadite in persone che, come lei hanno dovuto cambiare velocemente la propria vita e le proprie consuetudini.
Un emigrato italiano
Nei primi anni del Novecento furono molti gli italiani che migrarono per cercare fortuna in altri paesi, soprattutto verso l'America; questo fenomeno riguardò le regioni più povere e anche dai paesi del nostro Appennino molti giovani partirono con la speranza di trovare lavoro. La zona montana, infatti, non offriva grandi possibilità di lavorare, la vita era dura con i lunghi inverni freddi e con una terra scarsamente coltivabile. Molti andarono in America del nord o in Canada dove offrivano la loro esperienza di boscaioli o di scalpellini.
Anche da Fiumalbo, paese d'origine di mio nonno, molti giovani affrontarono la dura esperienza dell'emigrazione, tra cui anche il mio bisnonno Francesco che, intorno al 1910, insieme a due suoi fratelli, s'imbarcò da Genova alla volta del continente americano, dove approdò dopo venticinque giorni di navigazione.
Il bisnonno trovò lavoro in una miniera nello stato del Michigan, vicino alla città di Detroit. Allo scoppio della prima guerra mondiale Francesco decise di far ritorno in Italia per amor di patria e questo gesto gli salvò la vita perché i suoi fratelli, che rimasero in America, morirono per un'epidemia di vaiolo. Finita la guerra, il mio bisnonno si sposò e nel 1920 nacque mio nonno Sergio, ma le condizioni economiche della famiglia non erano buone e così Francesco decise di partire nuovamente e questa volta la sua meta fu l'Australia. Il viaggio per mare fu lungo e faticoso e, una volta giunto, si stabilì nella zona di Perth, dove inizialmente tentò la fortuna come cercatore d'oro, ma, visto lo scarso successo, cambiò occupazione e divenne pastore di numerosi greggi. Questo lavoro gli permise di vivere e di inviare ogni mese dei soldi alla moglie in Italia. Dopo cinque anni, la nostalgia per i suoi cari lo portò a rientrare a Fiumalbo, dove nel frattempo la bisnonna era riuscita con i risparmi ad aprire un piccolo negozio di mercerie che permise alla famiglia di vivere dignitosamente e di crescere e far studiare i quattro figli.
Purtroppo mio nonno Sergio, che è la fonte di queste notizie, non ricorda più tanti particolari della vita avventurosa di suo padre, a me dispiace perché vorrei conoscere meglio tutta la storia della sua vita, così diversa dalla mia.
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