I "Gialli"

OMICIDIO ALLA SFILATA
 “Giovane modella muore durante una sfilata”. Questo era il titolo di un articolo di giornale che colpì la geniale mente del famoso investigatore romano Giuseppe Ignazi.
Stava bevendo un caffè al bar quando arrivò il suo amico e collega Mario Ghibertini e gli fece vedere l’articolo. C’era scritto che, “a causa di un giramento di testa, la giovane modella era svenuta, battendo la testa”. I due amici parlarono per un po’ di questo caso. Mentre discutevano, dentro di loro cresceva la curiosità e la voglia di scoprire la verità sul fatto perché, secondo loro, era un po’ strano che a una persona sana come un pesce, venisse un capogiro tanto forte da farla cadere. Il giorno dopo ricevettero una telefonata da un’amica della modella che chiese il loro aiuto per risolvere il caso, perché sospettava come loro. I due accettarono. Nel pomeriggio andarono nel luogo in cui era avvenuto l’incidente e si recarono nei camerini dove li aspettava la ragazza. Insieme andarono a vedere il corpo della vittima, ma non trovarono nulla d’insolito. Controllarono il camerino, ma anche lì sembrava tutto a posto, Ignazi, tuttavia, notò degli strani graffi sul pavimento.
Nel frattempo la polizia aveva individuato degli indiziati che stava interrogando: una modella, un’addetta alla preparazione estetica delle modelle e lo stilista.
- Dov’era e cosa stava facendo prima che entrasse la sua amica?- chiese Ignazi alla modella.
- Mi sono preparata e ho fatto i complimenti alla mia amica,perché il vestito che indossava le donava molto- rispose lei.
Rivolse la stessa domanda all’addetta alla preparazione estetica delle modelle ed ella rispose:
- Stavo sistemando l’acconciatura e il trucco della modella e nel frattempo lei continuava a dirmi che si sentiva benissimo e che non vedeva l’ora di farsi vedere con il bellissimo vestito che indossava. Poi le ho fatto gli auguri e ne ho preparata un’altra.
Infine interrogò lo stilista che disse:
- Io ho sistemato i vestiti e ho portato i soliti bicchieri d’acqua a tutte le modelle perché dicevano che si sentivano meglio dopo aver bevuto.
Ignazi non era molto soddisfatto perché non era riuscito a trovare molti indizi che lo portassero alla soluzione, ma voleva ragionare con calma su quelli che aveva, così andò in bagno per poter stare solo e tranquillo per un po’ di tempo. Nel bagno il suo sguardo cadde subito su qualcosa che luccicava per terra e vide che c’erano un orecchino e un pezzettino di vetro. Rivolse poi la sua attenzione al cestino dove trovò una boccetta rotta. Pensò che il vetrino trovato potesse appartenerle. Così mise tutti i frammenti e l’orecchino in un sacchettino e in quel momento notò che la boccetta aveva contenuto un liquido. Ignazi pensò a un veleno. Infine andò a prendere tutti i bicchieri di plastica che c’erano nei cestini e li mandò alla scientifica insieme alla boccetta e all’orecchino.
Mentre aspettava i risultati delle analisi, spiegò le sue ipotesi all’amico Ghibertini che concordò con lui. Quando lo stilista gli passò a fianco, notò che portava l’orecchino all’orecchio sinistro. Arrivate le analisi ebbe la conferma che il liquido della boccetta rotta era veleno e che ne erano rimaste tracce nel bicchiere in cui aveva bevuto la vittima. Non solo, sull’orecchino c’erano le impronte digitali dello stilista.
- Mi scusi, potrei vedere sotto le sue scarpe?- chiese Ignazi allo stilista.
Poco dopo chiamò tutti al suo cospetto e disse che aveva risolto il caso.
- L’assassino è qui tra noi ed è…lo stilista! Abbiamo trovato tracce di veleno in una boccetta e nel bicchiere in cui ha bevuto la vittima e, se non erro, mi ha detto di aver distribuito i bicchieri con l’acqua. Ma quando è andato in bagno per versare il veleno, le è caduta la boccetta che si è rotta. Ha gettato i pezzi ma non ne ha visto uno che si è incastrato sotto la sua scarpa. Nel raccogliere i vetri le è caduto l’orecchino. Inoltre il pezzo di vetro sotto la sua scarpa ha segnato il pavimento e non si è più staccato e infatti ce l’ha ancora. Così l’uomo confessò e disse che aveva ucciso la modella perché lo ricattava dicendo che se non l’avesse pagata avrebbe raccontato i suoi segreti. Per questo motivo l’aveva avvelenata.
 



ASSASSINIO IN PISTA
-Buonasera, signora- disse il signor Grissom, agente della scientifica. -Ho saputo che suo figlio, Jack Morrison, è deceduto, ieri pomeriggio, durante la sua ultima gara di Formula uno di campionato.-
-Esatto, era proprio questo fatto che volevo raccontarle- rispose mrs. Morrison, -Ieri, Jack ha preso la sua solita medicina per la tosse… a quel punto la interruppe .
-La prego di spiegare meglio questa faccenda.-
-Allora, Jack ieri è andato in farmacia a prendere il suo antibiotico che si era fatto prescrivere dal medico.- la donna aveva l’espressione disperata. Parlava a fatica e qualche volta si asciugava le lacrime. poi riprese:
-Dopo averla presa Jack si è andato a preparare nella sua scuderia, a cambiarsi per la gara.-
Il dottor Grissom sprofondò nella sua poltrona. Prese una pipa e la accese fissando la donna.
-Posso vedere per piacere, lo sciroppo che suo figlio prendeva?-
-Certamente, l’ho proprio qui, proprio qui in tasca. Si chiama Augmentin. Voi sapete benissimo, che è quello più conosciuto da tutti i medici. Ha un colore biancastro con sfumature nere.-
-Potrei prenderlo per analizzarlo?- aggiunse Grissom. Così fece. Lo portò in laboratorio e lo analizzò di persona, ricavando per caso, proprio delle impronte digitali, che non corrispondevano a quelle della vittima. Innanzitutto quel liquido aveva un colore giallo e non bianco come asseriva la signora. In più le impronte corrispondevano a quelle di Thomas Black, l’acerrimo rivale di Jack nella Formula uno. Probabilmente Black voleva a tutti i costi conquistare il titolo di campione vincendo la gara. Così, eliminando Jack, molto più forte di lui, avrebbe sicuramente vinto. Grissom, però, ripensò alla faccenda della medicina. Aveva scoperto che quel colore strano era dato dal veleno, ma un punto ancora rimaneva da chiarire: come aveva potuto Thomas sostituirlo all’antibiotico? Allora gli venne in mente il farmacista che aveva preparato il farmaco a Jack. Così, andò in farmacia, e chiese al proprietario un elenco con tutti i nomi dei collaboratori. Ricevutolo osservò attentamente e ad un tratto lesse il nome “Thomas Black”. Grissom , in quel momento intuì tutta la storia, passo per passo: Jack era andato in farmacia dove Black sapeva che sarebbe venuto a prendere il farmaco per la tosse ed era stato un gioco da ragazzi sostituire i due flaconi e Jack, invece del medicinale, ricevette del veleno. Quest’ultimo agiva solo dopo due ore agendo solo sul sistema nervoso. Jack, poco dopo fece la gara, e proprio nell’ultimo giro cominciò a sentirsi male e svenne, sbandando, schiantandosi con la vettura contro il muretto. Grissom era sicuro che il colpevole era Thomas Black, che fu arrestato e mandato all’ergastolo.




Le indagini dell’investigatore Totti

Il noto investigatore Totti è stato chiamato a Villa dei Cigni: <<Questa mattina io e mia sorella siamo andate a chiamare la signora Gianna, per dirle che la colazione era pronta, ma lei non si muoveva, così l’abbiamo un po’ scossa, ma purtroppo era morta; è stato orribile!>> gli disse la cameriera.
<<Avete lasciato la stanza com’era?>>.
<<Sì, certo>>.
<<Ora vi dovrei fare delle domande, se non vi spiace, riunite tutto il personale e gli altri componenti della famiglia>>.
Durante l’interrogatorio, condotto dai suoi colleghi, l’investigatore va a esaminare la stanza della vittima.
<<Ho scoperto molte cose, Totti.>> dice un collega dopo aver interrogato i presenti.
<<Racconta, dunque.>>
<<Ebbene, la signora Gianna era malata di cuore e perciò la sera prendeva delle medicine, subito dopo andava a letto sempre alle 20.00. La signora ha due figli, Sandro di 40 anni e Roberta di 35; adesso l’eredità passerà a Sandro, il quale lavorava con la madre. Tuttavia tre giorni fa è stato licenziato, perché chiedeva sempre soldi per coprire i debiti del casinò in cui andava a giocare. Le cameriere ieri sera erano uscite alle 7.30 per andare a cena con degli amici, dato che avevano la serata libera, e sono rientrate a mezzanotte, mentre Sandro e Roberta sono rimasti a casa. Sandro verso le 7.30 è andato in camera sua, come sempre, per suonare, mentre Roberta guardava il suo telefilm preferito. Secondo me, Totti, è stato solo un caso di attacco cardiaco, tu che dici?>>.
<<Io dico che è ancora troppo presto per dirlo>>.
Gli agenti nel frattempo fanno andare tutti gli abitanti della casa in salotto, finché l’indagine non sarà conclusa. L’investigatore fa esaminare due indizi che ha trovato in camera della signora Gianna, poi si avvia nel salotto dove annuncia che sa chi è il colpevole.
<<Nella stanza ho trovato una strana polvere bianca e un mozzicone di sigaretta. Ora tutti sappiamo che la signora Gianna non fumava e neanche le sue cameriere, Rimangono Sandro e Roberta…>>. <<Cosa vorrebbe insinuare? Oh, ma non diciamo sciocchezze>> dice Roberta, ma Totti continua:
<< La prego, mi lasci continuare, ho fatto analizzare la polverina bianca: era un medicinale che alla signora faceva molto male; ho fatto analizzare la saliva sul mozzicone della sigaretta ed è risultato che è del signor Sandro. Non ha che da confessare signore>>.
Dopo la confessione Sandro viene arrestato e il caso è stato risolto.

GIALLO

“Un ladro, di nome Tony Brannigan, ha rapinato una banca e per non farsi prendere dalla polizia si nasconde nel bagagliaio semiaperto di un’auto. Quando i proprietari dell’automobile escono dal supermercato, dove hanno fatto la spesa, non si accorgono dell’uomo nel baule e ripartono. I gas emanati dalla marmitta rotta soffocano il ladro, il cui cadavere viene ritrovato insieme ai soldi rubati, dai proprietari quando arrivano alla loro villa. Marito e moglie decidono di seppellire il corpo, ma di tenere i soldi. Non ci sono prove per adesso e la polizia non sospetta di nulla. Solo un bravissimo detective potrà scoprire la truffa…”
Continuo…

“Driiin! Driiin! Driiin!
<<Lindaaaaa! Il telefono!>>, urla Martin.
<<Arrivo Signore, arrivo!>>, risponde la cameriera che arriva trotterellando nello studio dell’investigatore. <<Le ho portato qualcosa da mangiare>>, continua, porgendogli il telefono un vassoio d’argento.
<<Grazie Linda. Appena sfornati?>>, domanda l’uomo, indicando i biscotti sul vassoio.
Linda annuisce e gli ricorda:<<Signore il telefono, sicuramente ci sarà qualcuno che sta aspettando con ansia!>>
<<Ah già, grazie Linda>>, ringrazia la cameriera e prende in mano la cornetta: <<Pronto, qui parla John Martin, in cosa posso esserle utile?>>
<<Salve Martin, sono lo sceriffo Smith, ho un caso irrisolto proprio adatto a lei>>, risponde l’uomo dall’altro capo del filo.
<<Di cosa si tratta precisamente?>>, domanda John Martin.
<<Ieri mattina, c’è stata una rapina in una banca di un paese a circa cinquanta miglia da qui. Il ladro è scappato con 50.000 dollari e poi è scomparso nel nulla. È un certo Tony Brannigan, ha già dei precedenti. È tutto Martin. Se accetta l’incarico venga il prima possibile alla stazione di polizia e io la accompagnerò sul luogo del furto>>, continua Smith.
<<Arrivo subito>> risponde Martin.
Martin parte in quarta con l’antica automobile d’epoca e in circa dieci minuti è davanti all’ufficio dello sceriffo.
<<’Giorno John, prendiamo la sua auto?>>, domanda Smith.
<<Naturalmente James, guido io>>, risponde l’investigatore accompagnando l’uomo alla sua auto.
Percorrono le cinquanta miglia che li distanziano dal paese dove è accaduto il reato e si fermano davanti alla banca.
<<Smith, non riesco proprio a capire come avrà fatto il delinquente a derubare un luogo che sembra apparentemente così sicuro!>>, esclama Martin.
I due entrano nella banca e si dirigono verso la porta che è stata scassinata. Martin osserva attentamente i lucchetti e la serratura rotti, la porta aperta e lo scaffale vuoto dove si trovavano i soldi. Prende campioni di oggetti sospetti e cerca tracce di impronte digitali. Dopo venti minuti buoni di osservazione, Martin alza la testa e dice:<< È un normalissimo furto: il ladro si nasconde in banca, di notte scassina la porta della cassaforte, dopo aver disattivato i sistemi di sicurezza e porta via i soldi… Su, non faccia quella smorfia Smith! Lo so che la somma trafugata è molto alta, però lo schema del delitto è quello base ed è proprio da principianti!>>
Smith è molto colpito: Martin è un detective molto esperto!
<<Non capisco il suo ragionamento. Con ciò lei vorrebbe dire che Tony Brannigan è un principiante?>> domanda lo sceriffo allibito.
<<Sì, oppure ha fatto solo finta di esserlo>>, risponde Martin.
<<Su, non parli per enigmi, sono un poliziotto non un filosofo!>>, ribatte Smith.
<<In parole povere, questo Brannigan è un ladro molto esperto perché ha rubato varie volte, ma per non far ricadere la colpa su una persona con una lista di arresti lunga come la sua (Brannigan incluso), ha deciso di utilizzare tattiche da principiante, per confondere la polizia, in modo da prender tempo e scappare all’estero con i soldi, probabilmente in Canada. Ma siccome…>>, continua il detective ma viene interrotto.
<<…è stato visto a volto scoperto, appena effettuata la rapina, si è nascosto da qualche parte, ancora in America! Geniale, proprio geniale!>> conclude Smith.
<<Vedo che hai capito la mia ipotesi, perciò io controllerei tutta la zona nel raggio di cinquanta miglia da qui, in ogni direzione>>, spiega l’investigatore.
Smith annuisce e, con Martin, inizia a perlustrare il territorio.
<<Guardi, qui c’è il supermercato. Io darei un’occhiata qua intorno. È il posto più vicino al punto dove è stato visto per l’ultima volta Brannigan>>, dice Martin. E poi chiede: <<Smith? Sa se in questi giorni è piovuto?>>
<<Sì, Signore, ma due giorni fa, l’asfalto ora è già asciutto>>, risponde l’uomo.
<<Capisco…>> mormora l’investigatore.
<<Signore, lei crede che la pioggia abbia qualcosa a che fare con Brannigan? Io non credo che dia molti indizi…>>, domanda lo sceriffo.
<<Vede, Smith, queste impronte nel fango, lasciate da qualcuno che proviene dalla banca, probabilmente sono del ladro… ma qua,>> ,Martin indica un punto sulla strada con l’ombrello <<qua terminano>>.
...«E inspiegabile!» esclama Smith.
«No, è una cosa sensata. Qualcuno è complice di Brannigan e per aiutarlo a scappare l'ha fatto salire in macchina e l'ha portato lontano dalla polizia. -e continua il detective- A proposito di pioggia, ci sono degli stagni o delle paludi nella zona, che lei sappia?»
«Sì, il Signor Jonson, che abita molto vicino alla banca, ha un piccolo stagno nel giardino dove alleva le rane. È un tipo un po' strano, dicono che sia matto, altri invece credono che sia uno stregone "voodoo", che a ogni luna piena faccia strani rituali che...», spiega Smith.
«Suvvia, non mi dica che crede a queste leggende metropolitane! Abbiamo trovato un indizio e lei trema di paura? Adesso sappiamo che Brannigan, per fare prima ad allontanarsi dalla banca è passato per il giardino di Jonson, ma ha messo i piedi nello stagno, lasciando le impronte fangose che vediamo. Era così disperato che non ha pensato a questo, ehm, "piccolo" particolare.» spiega Martin.
«Sì, ma qua le impronte finiscono, Brannigan è fuggito in auto e... e chi lo trova più?!» esclama Smith. «Si calmi James! C'è una soluzione anche a questo. Il supermercato qua a fianco dovrebbe avere alcune telecamere di sicurezza per controllare il parcheggio, probabilmente scopriremo chi ha portato con sé il ladro.» dice Martin. Dentro al supermercato...
«Guardi Smith, vede quell'auto? E posizionata proprio dove si fermano le impronte, anche se adesso non ci sono ancora. Ecco! Adesso arriva Brannigan e si nasconde nel bagagliaio. Dopo un po' i proprietari dell'auto vanno via con la spesa appena acquistata senza sapere di avere un ladro nell'automobile! Smith si appunti la targa della macchina, dobbiamo scoprire a chi appartiene!» esclama Martin eccitato. In seguito dai vigili urbani...
«L'auto è stata immatricolata a nome di Marion Parker, moglie di William Parker, abitano nella periferia in una di quelle ville che si trovano là.» commenta il capo dei vigili, indicando la zona con un ampio gesto del braccio «Per me, non fareste male ad interrogare anche i vicini di casa, potrebbero saperne qualcosa. Ah, ricordate che l'auto potrebbe essere rubata, ma suppongo che la troverete parcheggiata nel vialetto di casa Parker. Loro dopo tutto non hanno sporto denunce di nessun tipo, quindi l'auto è loro.»
«Grazie del consiglio Sorge, andiamo subito dai Parker!» esclama Martin e se ne va accompagnato dallo sceriffo.
Poco dopo, nella proprietà dei Parker....
«Allora Smith, tu vai a parlare con i Parker e dì loro di disattivare il sistema di allarme, perché io vado a cercare, indizi in questo grande giardino, se si può chiamare così. Siamo intesi?» comunica Martin. «Sì, Signore, ma lei come fa a sapere che c'è un sistema di sicurezza?» domanda Smith. «Lì, proprio dietro a lei c'è il pannello di controllo per attivare e disattivare il sistema... Ah, 'giorno signor Parker, siamo qui per indagare per il furto in banca di stamane, il mio collega le spiegherà tutto. Potrebbe gentilmente disattivare l'allarme?» chiede il detective vedendo William.
L'uomo diventa improvvisamente pallido, poi risponde:«Certo, Signore... Adesso il sistema è disattivato, vada tranquillamente dove vuole.» dice mentre digita un codice sul pannello «E lei Sceriffo venga con me, è il benvenuto a casa mia! Posso offrirle un Brendy?» «Con piacere!» risponde l'uomo.
Martin inizia a perlustrare il cortile, il vialetto di ghiaia, il garage, e poi anche la collinetta con il bosco. Mentre cammina inciampa all'improvviso per via di un dislivello del terreno, si ferma per controllare e nota la diversità fra i due tipi di terra. Prende un ramo robusto dal terreno e inizia a scavare nella zona sospetta. Dopo un po', con la punta del bastone va contro qualcosa e trova un cadavere: è il corpo di Tony Brannigan, il famigerato ladro! Telefona immediatamente al medico legale e lo fa venire per determinare la causa e l'ora del decesso. Poi va da Smith e gli riferisce sottovoce l'accaduto. In seguito va dal Signor Parker e dice:«E stato trovato il cadavere del delinquente che ha effettuato la rapina nel bosco di sua proprietà, ma non ci sono i soldi. Lei ne sa qualcosa?»
«No, io non ne sapevo niente! Posso solo dirle che stamattina è suonato l'allarme, ma quando sono uscito per andare a controllare sulla collina, non c'era nessuno!» si giustifica Parker.
«Mmm... Beh, grazie dell'aiuto. Smith adesso andiamo a parlare con i vicini, e quanto a lei Parker, ne riparliamo dopo» commenta Martin e se ne va. A casa della Signora Walzer...
«Quindi lei ha saputo questa mattina alla radio, della rapina in banca?», chiede il detective.
«Sì, e verso mezzogiorno ho telefonato a casa dei Parker, perché volevo scambiare qualche pettegolezzo con Marion, ma lei non c'era, così ho parlato con il marito. E un uomo molto scorbutico quello, ha subito riattaccato!» risponde la Signora Walzer.
«D'accordo. Ma lei sapeva che Brannigan, il delinquente, è morto?» continua Martin con fare da esperto. «No, davvero?! Quindi adesso è sistemato! Nel pomeriggio racconterò tutto a Marion!» risponde eccitata la signora.
«Il cadavere è stato ritrovato nella proprietà dei Parker, ma non si sa come sia finito lì. E scattato l'allarme ma non c'era nessuno.» conclude Smith.
«Dice sul serio? Lo sa che William Parker ha un sistema anti-furto che mantiene in memoria tutte le volte che suona l'allarme e tutte le volte che viene attivato o disattivato con il codice? Lo invidio moltissimo... Ha una villa bellissima e non c'è mai stata una volta che i ladri abbiamo derubato quell'uomo! Lo sa che...»viene interrotta da Martin che dice:«Mi scusi Signora se l'ho interrotta così bruscamente, ma non ho proprio il tempo di ascoltarla! Sarà per un'altra volta. Mi dispiace ma devo proprio andare.» E poi va via.
«Signore, che le ha preso?!», domanda Smith.
«Glielo spiego più tardi! Ora vada dal medico legale e ritiri i risultati dell'autopsia, la voglio vedere domani in casa Parker alle otto del mattino, è chiaro?!» finisce di dire e se ne va di fretta.
«Se lo dice lei... Anche se io in questa storia non ci sto capendo molto. Basta che lei sappia quello che sta facendo...» mormora Smith. L'indomani a casa Parker...
«Bene, vi ho riuniti tutti qui oggi perché, dopo un lungo lavoro, ho scoperto il mistero di Tony Brannigan, della sua morte e il luogo dove sono nascosti i soldi. Posso dirvi che all'inizio tutti erano sospettati, tranne la piccola Cindy, la figlia dei Parker.» un vocio da parte di quello strano pubblico fa fermare per un istante il detective, che però riprende subito a parlare «Ma poi ho raccolto vari indizi e posso dirvi come sono giunto alla soluzione. Ho trovato le impronte delle scarpe del ladro che finivano vicino ad un parcheggio. Ho osservato attentamente le registrazioni delle telecamere del supermercato e ho scoperto dove si è nascosto il ladro. Analizzando i numeri della targa dell'auto, con l'aiuto del capo dei vigili urbani, ho trovato il proprietario, la Signora Marion Parker. Ho scoperto il cadavere del ladro nella proprietà di questi signori, morto a causa di monossido di carbonio sprigionato dalla marmitta rotta dell'automobile. Perciò incolpo William e Marian Parker per aver seppellito il cadavere e aver tenuto illegalmente i 48.280 dollari rubati dal ladro!» esclama Martin. «Lei non ha prove a sufficienza. Non sono stato io a seppellire il cadavere! E stato qualcuno che è entrato abusivamente nella mia proprietà!» ribatte Parker «L'allarme è scattato! L'ho sentito io!» «Lei dice che è entrato qualcuno dall'esterno perché ha sentito l'allarme che suonava. Prima di tutto nessuno del quartiere ha udito nulla; seconda cosa, il suo moderno sistema di sicurezza l'ha, diciamo, "tradita" signore. Nel pannello di controllo ad alta definizione viene registrata ogni attivazione o disattivazione dell'allarme, e c'è il segnale di una disattivazione circa a mezzogiorno, cioè due ore dopo la morte la morte di Brannigan. Tutti gli indizi portano a lei.» dice il detective.
«E va bene! Sono stato io a seppellire quell'uomo, ma solo per non avere la polizia addosso! I soldi non ce li ho io, mi creda!» continua Parker.
«E invece sì!» esclama la piccola Cindy «Sono venuta a sapere del complotto qualche ora fa. Stavo guardando la TV, quando ho sentito i miei genitori che parlavano del denaro rubato che avevano deciso di tenere, e così ho capito tutto.»
«Cindy!» mormora inviperita la madre.
«Grazie a te Cindy, il mistero è risolto totalmente. Marion, William vi dichiaro in arresto! E a te tesoro, non dispiace, vero, andare a vivere dalla nonna? Bene. Smith, puoi portarli dentro, io penso a Cindy.» dice Martin. E così un altro mistero è risolto, ma sicuramente ce ne saranno altri per John Martin, anzi detective John Martin.
Greta Fiorini –


 

Intrigo in chiave di sol
Io vivevo in una piccola città dal nome Ert. In questa cittadina, precisamente davanti alla mia finestra, c’era un piccolo negozietto di strumenti musicali, che vendeva i più begli strumenti del paese.
Ogni giorno la gente che passava davanti a quella vetrina, la guardava ammirata e si fermava incantata. In particolare questa vetrina aveva esposto un bellissimo violino, di un legno pregiatissimo e naturalmente di grande valore.
Ah, non mi sono ancora presentato, mi chiamo William Tunir; come ho già detto la mia finestra era davanti a questo negozio e io essendo stato operato allo gamba avevo le stampelle. Il medico mi aveva detto che dovevo rimanere in casa per una settimana e mi aveva mandato un’aiutante, Anne: questa ragazza era di mezza statura, bionda ed, essendo maniaca della pulizia, prima di entrare in casa si puliva le scarpe per almeno venti volte. Comunque non ci facevo caso, perché lei se ne stava sempre in cucina ed io davanti alla finestra. In questi casi (cioè quando sono in malattia), scatto sempre foto.
Da alcuni giorni vedevo passare davanti alla vetrina un uomo di media altezza, con i capelli castani e dall’aspetto giovanile; avevo come l’impressione che fosse attratto dal violino o in qualche modo lo stesse controllando. Era un tipo molto strano: passava tutte le mattine e tutte le sere alle nove in punto, mai un minuto prima, mai un minuto dopo. A pensarci meglio c’era anche una donna con i capelli raccolti, castani, giovane; anche lei sembrava essere attratta dallo strumento.
Fatto sta che una mattina, alzandomi alle otto e mezza, affacciato alla finestra, vidi che nella vetrina non c’era più il violino e non vidi né l’uomo né la donna per tutto il giorno. Avevo scattato altre foto ed Anne doveva portarle a sviluppare e mentre ci andava, le chiesi se poteva chiedere al commesso del negozio di strumenti che fine avesse fatto il violino.
Guardando meglio le foto che avevo scattato tempo prima, mi accorsi che le facce delle due persone, avevano come un’espressione di sfida tra loro e la donna aveva sempre una valigetta con scritte le iniziali P.A., notai questo particolare in una foto in cui lei e l’uomo si stavano guardando e l’uomo aveva in mano un fazzoletto con le stesse iniziali della valigetta.
Il mio ragionamento fu interrotto dallo sbattere della porta d’entrata, era tornata Anne che mi disse con un po’ di disperazione (aveva paura dei ladri!), che il violino era stato rubato. Adesso il mio ragionamento si faceva più complicato; guardai ancora per un attimo le foto e presi quelle nuove dalla busta, le guardai e mi accorsi che l’uomo stava facendo un segno alla donna, indicando il violino.
Senza badare a quello che mi aveva detto il dottore, scesi in strada e andai precisamente dove le due persone si erano fermate e mi fermai accorgendomi che il vetro della vetrina era rimasto uniforme e la maniglia della porta non era stata forzata. Pensai un attimo ed entrai nel negozio, chiedendo al commesso se avevano aggiustato il vetro e se nel negozio c’erano degli allarmi. Il commesso mi disse di non saper niente e che dovevo chiedere al padrone del negozio.
Sospettoso, tornai fuori sorpreso e guardando attentamente il campanello, lessi le iniziali P.A.,le stesse del fazzoletto e della valigetta.
Sulla vetrina c’era un cartello con su scritto “VENDESI” e inizialmente mi venne da pensare alle due persone. Alla fine arrivai alla conclusione.
Il padrone del negozio aveva un grande rivale, il signor Sain (l’uomo che indicava il violino) che aveva un altro negozio di strumenti e che guadagnava meno. Il violino era la sua unica risorsa (naturalmente per arricchirsi) e doveva averlo a tutti i costi. Dunque ci si domanda come la donna fosse coinvolta e come la vetrina nel furto non fosse stata rotta.  
La donna era figlia del signor Paul Accinger (P.A.) e di nascosto si era fidanzata con il signor Sain ed essendo troppo innamorata aveva rubato il violino, uscendo normalmente dalla porta, chiudendosela alle spalle e dando il violino al signor Sain. Ecco perché l’uomo che stava parlando con lei aveva il fazzoletto con le iniziali P.A., quello non era altro che il fazzoletto con le iniziali della ragazza cioè Penelope Accinger.
Avevo ricavato queste notizie da Anne che, essendo un’aiutante nelle pulizie, il mercoledì e il venerdì era stata chiamata a pulire dagli Accinger e avendo origliato, era riuscita a sapere queste cose. Per i due negozi la ricchezza più importante era quindi il violino e senza di esso non potevano mandare avanti l’attività. Io ero orgoglioso del mio lavoro ed ero ancora più contento, perché il giorno dopo avrei tolto le stampelle.
Alla fine i due ragazzi, Penelope e il signor Sain, si sposarono e il signor Accinger creò insieme al ragazzo un unico negozio non rischiando così di  perdere il lavoro.
Costanza Tesini – 2°D




La marcia indietro
Uscii come sempre di casa. Era tutto tranquillo lungo quella strada, fino a quando...scusate, non mi sono ancora presentata, sono l’investigatrice  Marie De Furbis, e lavoro per la Polizia. Dunque, dicevo, che era tutto tranquillo lungo quella strada, fino a quando non si sentì quel rumore. Quando arrivai vidi solo una donna paralizzata. Aveva sui trentacinque anni, era vestita elegantemente, con i capelli lunghi e neri. Cercai di aiutarla e non mi accorsi che dietro di me, c’era una macchina appena esplosa, e all’interno, una donna ormai in fin di vita. Mi rigirai verso la donna, anziché paralizzata, la trovai svenuta. Chiamai immediatamente la Polizia e l’ambulanza. L’ambulanza portò subito via la donna svenuta, perciò decisi che sarei andata a trovarla successivamente, non appena esaminata la scena del delitto. Entrai di soppiatto dentro al portone, che era dietro alla casa, dove era esplosa la macchina. Notai che la casa era tutta in ordine e che c’era una porta nascosta. Entrai, c’erano delle scale; le scesi ed ero dentro a una stanza piena di scatole ed oggetti vecchi. Fu una scatola appoggiata contro il muro a suscitare la mia curiosità. La presi per vedere se conteneva qualcosa... era vuota. Poi vidi una piccola finestra: la scatola copriva la finestra! Mi affacciai e vidi... il luogo del delitto: finalmente un indizio!Ad un certo punto sentii qualcosa vibrare.
Oh no! Era solo il mio telefonino:
<<Pronto?>>
<<Pronto, chiama l’ospedale. La donna ha ripreso i sensi!>>
<<Ok, grazie. Arrivo subito!>> Finalmente la donna aveva ripreso conoscenza e potevo andare a farle qualche domanda.
Diedi un ultima occhiata alla stanza. Chiusi la porta e mi avviai verso l’ospedale. Appena arrivai, vidi poliziotti che correvano dappertutto. Chiesi al mio collega dove fosse la donna e lui me la indicò. Appena arrivata vidi la donna sdraiata sul letto con la testa rivolta verso il soffitto.
<<Salve, sono l’investigatrice Marie>>, le dissi.
<<Ciao, io sono Silvia. È stata lei a chiamare l’ambulanza?>>
<<Sì, chi gliel’ha detto?>>
<<La Polizia>>
<<Ok. Potrei chiederle di dirmi cosa è successo, se per lei non è un problema ovviamente.>>
<<Ok, anche se sarà dura rievocare quel momento.>>
La donna aspetto un po’ prima di parlare. Forse si aspettava che le dicessi, che se voleva, poteva non dire niente, ma io non lo feci.
<<Era un giorno come gli altri. Chiesi a mia sorella di uscire e lei disse sì. Le chiesi anche di ingranare la marcia indietro, perché io non la riesco a fare ed è quello che lei fece. Ma non poteva immaginare che c’era un bomba.>>
La donna si mise a piangere, la salutai e la lasciai sola, ma uscendo dalla stanza urtai qualcuno, un uomo sui quaranta. Gli chiesi chi fosse e lui mi disse: <<Io sono il marito di Silvia. Mi dispiace che lei sia morta e...>> io lo interruppi e dissi:
<<Scusi signore, ma Silvia non è morta. È morta sua sorella.>>
L’uomo fece una faccia triste e poi mi disse: <<Posso entrare da mia moglie?>>
Mi spostai e lo feci entrare.
Passò un po’di tempo e la polizia archiviò il caso come “delitto irrisolto”. Ma l’altro giorno mi successe una cosa inspiegabile.
Ero al supermercato e vidi... Silvia. Andai da lei per salutarla, ma non riuscii a raggiungerla e lei uscì. Decisi di seguirla. Si diresse  alla sua automobile, fece marcia indietro e se ne  andò. I casi erano due: o Silvia aveva in poco tempo imparato a ingranare la marcia indietro, o aveva mentito.
Andai a casa sua con la scusa di volerla salutare. Mi aprì lei. Era molto sorpresa di vedermi, quasi spaventata. Per liquidarmi disse che doveva uscire subito. Io vidi che in mano sua c’erano dei fogli, con la foto di sua sorella. Glieli sfilai di mano e vidi che era una lettera anonima indirizzata alla polizia. Feci rientrare la donna e lei chiesi subito spiegazioni, se non voleva mettersi nei guai. La donna cominciò a spiegare: <<Il giorno prima della morte di mia sorella sentii mio marito dirle che la amava e che avrebbe escogitato un piano per ammazzarmi...>> La fermai e continuai io:<<Così sentì anche che suo marito avrebbe messo una bomba sotto la macchina e lo spiò dalla finestra che c’è nello stanzino di sotto, e chese a sua sorella di farle la marcia indietro in modo che morisse lei!>>
La donna rimase in silenzio. Io le dissi che mi dispiaceva, ma doveva venire con me al Commissariato.
E finalmente potei dire la mia bella frase: “IL CASO È RISOLTO!!”
Mariam El Fath – 2°D


Un falso furto
Il sole era ormai calato,il cielo era di un colore rosato: uno spettacolo magnifico. Alan Dustan stava per chiudere il suo negozio di giocattoli, mentre dava un’occhiata alla vetrina per vedere se tutto era al suo posto. Il suo negozio di giocattoli era il più famoso di tutta New York, però egli non se ne vantava. A proposito, il suo negozio era conosciuto con il nome “Dustan’s”, naturalmente derivato dal suo cognome.                                                 Alan stava per raggiungere la sua casa, quando si ricordò di aver lasciato gli occhiali da vista sul bancone del negozio e tornò indietro. Arrivato, Alan vide la sua vetrina frantumata in tanti minuscoli pezzi di vetro e chiamò subito un detective molto bravo: Albert Callester.                                                      
 Il detective osservò ed esaminò tutto il negozio, ma soprattutto la cassa che non aveva subito nessuno scasso, neanche un graffietto. Il ladro aveva solamente spaccato la vetrina. Il detective era un po’ confuso, perché di solito un ladro spacca la vetrina per poi rubare qualche cosa. Comunque notò due cose: alcune bambole erano cadute ed era ovvio che qualcuno le aveva fatte cadere e gli occhiali di Alan erano rotti. Il detective tornò a casa, ragionando su tutto quello che aveva visto.
Il giorno dopo, il detective tornò nel negozio. Vide un guanto dietro a tutte le bambole e lo fece vedere ad Alan; egli si ricordò che aveva avuto un cliente che indossava guanti uguali a quello e aveva comprato una bambola, poi prese fuori il suo scontrino -Alan faceva sempre un secondo scontrino per sicurezza- dove c’era scritto Frank Calvin; aveva pagato con la carta di credito.                                        
Alan e il detective andarono da quella persona e gli fecero vedere sia il guanto sia lo scontrino. Frank Calvin non sapeva mentire allora ammise tutto e disse che aveva spaccato la vetrina per prendere altri giocattoli per sua figlia, perché non aveva una lira e lei compiva gli anni. Rotta la vetrina era entrato e stava per prendere una bambola ma il guanto gli si era impigliato in un chiodo. Allora se l’era tirato via, ma aveva fatto cadere qualche bambola e incidentalmente aveva anche rotto gli occhiali. Tutto quello scompiglio lo aveva spaventato ed era scappato via senza prendere nulla.                                                                                                            
Il colpevole fu arrestato e la vita di Alan Dustan riprese a scorrere normalmente, installò solamente degli antifurti nel negozio.
Elisa Pastorelli – 2°D




Assassinio alle Ferraris
(prima puntata)

La sveglia non smette di suonare!
Aldo è nel suo letto, ancora stanco per la serata precedente. Aveva approfittato del fatto che sua moglie usciva per andare al cinema con le sue amiche, per invitare alcuni colleghi per una bella partita a carte e una birra in compagnia. Le birre erano diventate due e poi tre e pertanto Aldo era stanco e aveva anche un po’ male di testa.
Dopo una bella doccia e una gustosa colazione, si avvia a piedi verso il lavoro. Aldo è un bidello della scuola media Galileo Ferraris, che si trova a dieci minuti di cammino da casa sua. La giornata è bellissima e camminare è un piacere, è più di una settimana che c’è bel tempo, la strada è asciutta e ci sono tante biciclette in giro.
Dopo poco, Aldo incontra, proprio in sella alla bicicletta, Pasquina, una sua collega di lavoro.
I due si mettono a fare due chiacchiere sul nuovo preside, che proprio non si sopporta. Dall’inizio dell’anno, avvenuto due settimane prima, Filippini ha sostituito il “vecchio” preside Luisi. Nessuno era stato avvertito del cambio e questo professor Filippini si era presentato la mattina del primo settembre senza avvisare nemmeno il vicepreside Menziani, dicendo che avrebbe sostituito Liusi, che si era licenziato improvvisamente per motivi di famiglia.
Pasquina racconta ad Aldo che la sera precedente era stata quasi l’ultima a uscire, infatti nella scuola c’era una riunione del comitato dei genitori, in tutto l’edificio, oltre a lei, rimasti Lina, l’applicata di segreteria, il preside e cinque genitori, due mamme e tre papà, che si erano fermati a discutere. Nel corridoio, le due mamme e avevano alzato un po’ troppo la voce, discutevano animatamente di una lite che la mattina prima i loro figli avevano avuto in classe e volevano tutte e due avere ragione. Il professor Filippini aveva brontolato per il baccano e, sempre brontolando era uscito dalla scuola. Finalmente, anche i genitori se ne erano andati. Pasquina aveva salutato Lina, si era raccomandata che chiudesse bene visto che aveva deciso di fermarsi ancora un po’ perché doveva terminare una pratica importante, e si era avviata verso casa.
Mentre Pasquina parla con Aldo, oltre ai pettegolezzi sul nuovo preside gli racconta che la sera prima, proprio mentre usciva da scuola, aveva visto una macchina vicino al cancello di via Martinelli, con a bordo due persone e la cosa non le era piaciuta per niente.
Aldo le dice di non preoccuparsi, che sicuramente si sarà trattato di due fidanzati che si stavano sbaciucchiando, poi saluta la collega e si avvia verso la scuola: stamattina tocca a lui aprirla.
Entra a scuola, sbuffando per il troppo lavoro, spegne l’allarme che era stato inserito la sera prima, tira su una dopo l’altra le tapparelle di tutte le aule e dei laboratori, Mancano solo la presidenza e la segreteria. Si avvia per il corridoio e, arrivato quasi davanti alla porta d’ingresso della scuola, gira a sinistra, tira giù la maniglia della prima porta ed entra nella segreteria buia. Appena dentro inciampa in qualcosa di morbido e cade a terra.  Lo spavento è enorme, tastando quella cosa capisce subito di che cosa si tratta. Gli viene la pelle d’oca. Si alza e accende la luce. Lì ai suoi piedi c’è il corpo di una donna in una pozza di sangue, a braccia aperte e con un coltello conficcato nella schiena riconosce subito Lina Ferrari, l’applicata di segreteria.
(Continua)
Enrico Mancini, con la collaborazione di Emma Ognibene

Assassinio alle Ferraris
(seconda puntata)
Aldo si precipita a chiamare la polizia e l’ambulanza, anche se capisce immediatamente che i soccorritori potranno solo constatare la morte di Lina  e il mezzo di soccorso servirà solamente a portare via da lì il cadavere della ragazza. Il decesso è infatti avvenuto da parecchie ore: il corpo è rigido e freddo.
Sono le sette e mezza, gli studenti e i professori iniziano ad arrivare, ma c’è una gran confusione e la polizia, giunta dopo pochissimi minuti dalla chiamata, tiene tutti fuori.
Arriva finalmente il vicepreside Menzioni che, consultatosi con il commissario Armando Saraceni, decide di chiudere la scuola e rimanda tutti a casa. Cerca anche di contattare il preside, ma non riesce a trovarlo né al fisso né al cellulare.
Menzioni parla con Saraceni e apprende, con orrore, che Lina è stata accoltellata. Poi le forze dell’ordine iniziano i rilievi e  gli interrogatori e la prima persona che ascoltano è Aldo, che, ancora sotto shock, racconta che a molti Lina era poco simpatica, troppo seria e riservata, e aveva avuto problemi in particolare con una collega, Clara, che a causa sua era stata trasferita alle Marconi. “Non ne aveva nessuna colpa, si trattava di un normale avvicendamento, un anno qua e uno là -aggiunge Aldo- ma sa com’è, con qualcuno bisogna sempre prendersela e Clara aveva incolpato Lina di averle soffiato il posto”. Il bidello suggerisce di parlare con Angela, la migliore, e forse unica, amica di Lina, che lavorava fianco a fianco con lei lì in segreteria. Angela viene sentita dai poliziotti: “La povera Lina non era sempre stata così musona, era una ragazza gentile, socievole. Negli ultimi mesi è… era molto cambiata, la separazione dal marito l’aveva messa a terra. Sa com’è, la vita le era cambiata di punto in bianco: era dovuta andare a vivere con la madre. So cosa vorrebbe sapere… ma no, non aveva nessun’altra storia,  almeno a me non ha mai detto niente”
Angela racconta anche che all’amica piaceva leggere e che, prima di trasferirsi alle Ferraris, lavorava alle Lanfranco.
Saraceni domanda ad Angela dove si trovasse la sera precedente e la giovane donna risponde che era stata al cinema con la collega Marilena. Alla fine, propri mentre sta per andarsene e tornare nell’ufficio, ad Angela viene in mente che la mattina precedente, mentre stava lavorando, Lina aveva ricevuto una telefonata. “Dalla faccia che aveva quando ha messo giù mi è sembrata molto preoccupata. –poi aggiunge- Può chiederlo ad Antonia, c’era anche lei in ufficio in quel momento”.
Il commissario decide, a questo punto, di interrogare Antonia, la responsabile dell’ufficio di segreteria.
Quest’ultima racconta che la vittima aveva una mania vera e propria  per il gioco del lotto e che recentemente aveva detto a tutti di aver vinto parecchi soldi. Dice anche che sapeva non fosse in buoni rapporti né con il suo vicino di casa, col quale litigava spesso anche per motivi futili, né con l’ex marito.
Saraceni, mette in tasca il blocco degli appunti r decide di terminare per il momento gli interrogatori. Va invece all’obitorio per informarsi dal medico legale  su come sia stato commesso l’omicidio.
Io commissario viene così a sapere che Lina Ferrari è stata uccisa con un coltello da cucina e che la coltellata le è stata inferta dall’alto al basso nella schiena, e più precisamente sotto la scapola sinistra che le aveva perforato il polmone e colpito il cuore. Intanto gli investigatori hanno accertato che non vi sono segni di effrazione, le finestre sono tutte a posto, gli ingressi anche. Tutto normale: allarme inserito, scuola in ordine….
(Continua)
Ultima puntata
Il giorno seguente, alle sette in punto, Saraceni entra nel cortile della scuola. Fa uno strano effetto questo silenzio: una scuola senza ragazzi è un posto assurdo, niente urla, niente risate… L’ispettore ha passato il pomeriggio precedente a esaminare i suoi appunti, mentre continuavano senza nessun esito le ricerche del professor Filippini, il preside. Ma dove si era cacciato? Possibile che non si riuscisse a trovarlo e in un momento simile!?
“Intanto andiamo avanti con gli interrogatori-, si dice Saraceni, mentre varca la porta a vetri della scuola. Nella guardiola dei bidelli, ancora un po’ assonnati lo aspettano Aldo, il vicepreside e un fabbro.
“Vorrei dare un’occhiata all’armadietto della vittima”, chiede l’ispettore.
Aldo lo accompagna in una stanzetta senza finestre, dove, in fila, uno dopo l’altro, ci sono degli armadietti di ferro, come quelli delle palestre. A Saraceni basta uno sguardo per rendersi conto che l’armadietto di Lina è stato manomesso: qualcuno ha cercato di forzarne la serratura.  Fortunatamente l’armadietto ha resistito. Il fabbro lo apre in un batter d’occhio.  All’interno un ombrello, un maglioncino, qualche pacchetto di fazzoletti di carta, e, in basso, sotto una pila di fogli per fotocopiatrice, due buste: una contiene una mazzetta violetta, dei biglietti da 500 euro nuovi di zecca; nell’altra ci sono invece dei documenti. L’ispettore raccoglie le due buste e torna immediatamente in centrale. Gli è bastato uno sguardo ai documenti per capire tutto: il caso è risolto, ma bisogna fare in fretta adesso il tempo incalza.
Appena in macchina chiama Alboni, il suo collaboratore: “Procurati subito un mandato e vai in via Dabbene, 22… Sì, certo è la casa di Filippini, ma non credo che lo troverai. Spero tu trovi quello che credo e… che non sia tardi… Fa’ presto, io passo dalla Centrale poi ti raggiungo”.
Ora si corre contro il tempo. Saraceni va in ufficio, fa una chiamata alla clinica Salus, poche parole, e poi chiama il suo superiore.  Poi di corsa per le scale, in macchina e in qualche minuto è in via Dabbene. Entra nella villetta, i suoi sono già là. In casa tutto è in ordine. Scendono in cantina, c’è un buoi pesto. Accendono la luce, una lampadina da pochi watt illumina la stanza. In un angolo, c’è una gabbia di ferro e lì dentro lacero e confuso trovano un uomo: il preside Luisi. Arriva l’ambulanza e riparte immediatamente per l’ospedale con dentro Luisi: è debilitato, denutrito, ma se la caverà.
“Adesso non resta che aspettare”, si dice Saraceni, mentre torna in ufficio.
Alle diciassette e venticinque arriva una telefonata:
“Lo abbiamo preso! Era all’aeroporto di Milano e tentava di prendere l’aereo per Rio. Lo riportiamo lì.”
Sono le nove di sera quando Filippini entra in centrale. È un uomo pallido, magro, dallo sguardo tagliente”.
“Si accomodi- gli dice Saraceni – lei ed io dobbiamo proprio fare due chiacchiere! Signor Carlo Luisi… perché è questo il suo nome, non è vero? Signor Carlo Luisi la incrimino per l’assassinio di Lina Ferrari e per il tentato omicidio di suo cugino, Renato Luisi. Ha diritto di chiamare il suo avvocato. Ha diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere, ma se io fossi al suo posto direi tutto quello che so, per non aggravare la mia posizione…”
Ecco la storia. Carlo e Renato Luisi erano cresciuti insieme, due bambini della stessa età, stessi compagni di gioco, stessa scuola. Renato era un bambino simpatico, intelligente, benvoluto da tutti, Carlo era chiuso, mediocre, strano.
Quando erano diventati adolescenti le differenze fra i due avevano cominciato a pesare: Renato era andato all’università, Carlo si era fatto cacciare dal liceo e aveva abbandonato gli studi. In più era stato ricoverato in una clinica, la clinica Salus: manie di persecuzione. Dopo le dimissioni dalla casa di cura, aveva vissuto all’estero per una trentina di anni. L’estate scorsa, era rientrato a Modena e aveva incontrato i vecchi parenti. L’incontro con il cugino, preside di una scuola, aveva scatenato la sua invidia repressa e aveva deciso di fargliela pagare. Così, alla fine di agosto aveva invitato il cugino a casa sua, l’aveva drogato e messo in una gabbia, in cantina.
“Perché non l’ha fatto fuori?”, gli aveva chiesto il pubblico ministero al processo.
“Che gusto ci sarebbe stato, volevo che soffrisse, come avevo sofferto io quando lui era sempre il primo e io…”
Si era procurato da un amico dei documenti falsi e il primo settembre aveva varcato le porte della scuola del cugino.
Purtroppo, un giorno, aveva lasciato sulla scrivania una cartellina con dei suoi veri documenti. Una svista imperdonabile. Lina Ferrari doveva essere entrata nell’ufficio e aver visto i documenti: “Era sveglia la ragazza, deve aver capito tutto in un attimo”
Li aveva presi e fatti sparire. Da quel giorno erano iniziate le telefonate della donna che chiedeva soldi per tacere. “Mi stava dissanguando, voleva soldi, sempre più soldi e io non ne avevo più!”.
Era sveglia, già, ma anche molto sciocca, non aveva calcolato di aver a che fare con un malato di mente.
Enrico Mancini  e la seconda B